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Per chi ama la boxe, ma soprattutto la verità, è stato qualcosa di umiliante. Uno youtuber e un ex terrore del ring quasi sessantenne, hanno fatto finta di darsele per un po' di round, il tempo giusto per intascarsi decine di milioni di dollari e permettere a Netflix di registrare un record di iscrizioni, vendite, incassi, tutti contenti, tranne, per l'appunto, il pugilato, che esce distrutto da questa farsa. Ma dietro, c'è il tracollo di una società incapace di comprendere la differenza tra narrazione e realtà, verità e fantasia.
L'ennesimo show creato ad arte per un pubblico totalmente passivo
"Jake Paul vs. Mike Tyson" ha visto la vittoria ai punti per parere unanime del celebre YouTuber, al termine di un incontro che definire scadente, sarebbe anche un complimento. In queste ore c'è una polarizzazione di opinioni circa la supposta performance di Mike Tyson, 58 anni, che dopo i primi round non è più stato in grado di fare molto contro il ben più giovane avversario, a dispetto di una differenza di tecnica ed esperienza a dir poco abissali. Non è mia intenzione alimentare discussioni su questo match, semplicemente per il fatto che non è stato un match, ma, appunto, un'esibizione, che però è stata venduto come un vero incontro soprattutto grazie a diversi elementi: l'immutato fascino esercitato da una figura come Mike Tyson, tra i pugili più famosi di tutti i tempi, e l'odio generalizzato che circonda Jake Paul, uno che è diventato ricco facendo il buffone su YouTube, ma può vantare un grandissimo seguito nella Generazione Z.
Lui è il Campione di un'intera e foltissima schiera di gente priva di talento, reali capacità, che la civiltà moderna ha elevato a simboli, divi, ad un livello che neppure Andy Warhol nei suoi momenti più pessimisti avrebbe probabilmente concepito. "Jake Paul vs. Mike Tyson" ha fatto vincere quest'esaltazione della mediocrità avvolta da zucchero e casino mediatico, quella che ha reso idoli generazionali gente che cambia la copertina del cellulare, dice corbellerie ad un microfono per caso, fa reaction o crea scenette patetiche. Non era neppure il primo show di questo genere per Jake Paul, bene o male è riuscito ad arrivare ad un evento così atteso, così seguito e così remunerativo, dopo aver imbastito sceneggiate patetiche simili coinvolgendo vecchie glorie della UFC, pagate per andare giù, e il rivale influencer KSI. Jack Paul ha semplicemente rispolverato quella vecchia tattica che, fin dai tempi di Muhammad Ali, ha sempre funzionato benissimo: fai casino, fatti odiare, tutti ti seguiranno per vederti cadere, ma intanto sganceranno dei bei verdoni per farlo. Semplice ma geniale.
Nei giorni scorsi, vi sono state moltissime discussioni su come sarebbe andata in "Jake Paul vs Mike Tyson". C'era chi parlava di una differenza d'età troppo abissale, nonché di freschezza fisica, chi metteva sul piatto il fatto che comunque, a 58 anni, per quello che si vedeva nei reels e negli highlights sui social Mike Tyson appariva in una forma a dir poco invidiabile per la sua età. Il paradosso è che entrambe queste teorie erano giuste, o meglio lo sarebbero state se il match fosse stato veramente un match, ma a nessuno dei due e conveniva spingere per una semplice mera questione monetaria. Mike Tyson nei primi 2-3 round avrebbe potuto tranquillamente mettere giù Jake Paul? Uno che, a dispetto dello storytelling a cui crede il pubblico bue, chiunque conosca la boxe sa che un buon dilettante pari peso metterebbe KO in pochi istanti? Si forse. "Jake Paul vs Mike Tyson" però significa guanti da 14 Oz, sostanzialmente fatti per depotenziare la tuttora tutt'altro che trascurabile potenza di Iron Mike, però anche round da 2 minuti per farlo rifiatare.
Dal metà match in poi, Paul avrebbe potuto tranquillamente aumentare il ritmo ed arrivare a una conclusione prima del limite per mero sfiancamento del 58enne rivale? Forse. Ma sono le domande sbagliate. La vera domanda è: a chi sarebbe convenuto? Far perdere Jake Paul significa interrompere un flusso di denaro costante per lui, per i media, gli sponsor, le arene e gli eventuali futuri avversari di comodo, e il denaro è tutto negli Stati Uniti. A Jake Paul riuscire a fermare Mike Tyson avrebbe portato una quantità di odio capace di danneggiare questo business, che però sta stracciando persino l'istituzione per eccellenza della narrazione fittizia applicata allo sport in America: il wrestling. La WWE è da diverso tempo in crisi, ma anche la boxe lo è, proprio a causa dell'infiltrazione degli influencers e di figure simili negli sport da combattimento, creando degli astrusi fantasy match che però, in virtù della loro esposizione mediatica, stanno avendo un successo straordinario.
L'impatto della narrativa social e la stupidità altrui come risorsa
Tutti parlano di "Jake Paul vs. Mike Tyson", ma nessuno per esempio, almeno tra i profani della boxe, si rende conto che poco prima di questa buffonata, c'era stato quello che avrebbe dovuto essere il vero match di punta, tra Katie Taylor e Amanda Serrano, due tra le più straordinarie pugili di tutti i tempi, che hanno dato via ad un incontro di altissimo livello, così come sono stati praticamente tutti gli altri match nella undercard. Ma i 70mila alla AT&T Stadium ad Arlington, Texas, non erano lì per loro. L'impatto dei social media è stato devastante, ad ogni livello, nella nostra società e n pochissimi sport è stato così negativo come nella boxe, che da almeno 15 anni vive un grosso problema a livello di popolarità, consensi e ascolti. Il motivo sta nell'eccesso di classi di peso, federazioni, ci sono troppe cinture, troppi tizi che possono fregiarsi del titolo di campione, ed i migliori tendono ad evitarsi, per cercare di imitare Floyd Mayweather Jr., ritiratosi imbattuto e ricchissimo.
Ma è stato proprio lui che ha dato il via a questa deriva clownesca della nobile arte, imbastendo il primo, vero, grande fantasy match moderno dai tempi di Muhammad Alì vs Inoki del 1976, quando si è confrontato sette anni fa con il mattatore della UFC, Conor McGregor. La quantità di soldi che entrambi si misero in tasca, alimentata da un trash talking imbarazzante, una falsa rivalità alimentata ad uso e consumo dei peggiori istinti del pubblico da bar, è ancora oggetto di discussione, c'è chi parla di 100 milioni a testa. Anche in quel caso, come in "Jake Paul vs. Mike Tyson", fu un'esibizione studiata a tavolino e senza grandi sorprese. Floyd Mayweather Jr. avrebbe potuto mettere KO McGregor al massimo in un paio di round, lo fece arrivare quasi fino alla fine prima di buttarlo giù, una soluzione che non danneggiava nessuno dei due, né tantomeno questo nuovo modello di business, studiato soprattutto per attrarre i profani dello sport, i casual, come si dice in gergo, quelli più sensibili a bersi questo storytelling farlocco.
"Jake Paul vs. Mike Tyson" è solo l'ennesima deriva populista, truffaldina dell'intrattenimento moderno, ci conferma l'incredibile potenza dei social media e dei suoi protagonisti, ma anche quanto tutto questo sia diventato un virus in grado di danneggiare gli stessi universi con cui entra a contatto. Nello sport moderno ormai, che sia il calcio, il basket, l'atletica, le arti marziali miste o la boxe, il singolo atleta nel momento in cui comincia ad avere visibilità, ha un potere praticamente sconfinato nelle proprie mani.
Il pugile Tyson Fury, era arrivato a tenere in ostaggio la sua cintura, arrivando a decidere come e contro chi combattere, fino alla parodia di un match contro Francis Ngannou, ex terrore della UFC. Paradossalmente per poco non perse per KO, dato lo stato di forma imbarazzante con cui salì sul ring. Il popolino bue, con le sue teorie astruse e perfette per il marketing di questi eventi, fantasticò di una vittoria di Ngannou contro Anthony Joshua, che mise però KO l'avversario in modo spietato ed efficiente. Molti hanno digrignato i denti quella sera, perché ha chiuso per sempre la possibilità di avere questi match, così redditizzi e così ridicoli, non al livello di "Jake Paul vs. Mike Tyson" però.
Il punto è che se pensate che "Jake Paul vs. Mike Tyson" sia stato un match vero, reale, se pensate che Paul sia un pugile e che Tyson sia un semidio a 58 anni, forse dovreste sedervi e riflettere su quanto siete facili da abbindolare, che sia per nostalgia, eccesso di tempo passato sui social o altro. "Jake Paul vs. Mike Tyson" è stato uno spettacolo pietoso, una truffa organizzata, un vero e proprio pacco, doppio pacco e contropaccotto di cui noi siamo le vittime, plaudenti e menefreghisti, ma soprattutto infantili per aver ceduto al primo pifferaio di passaggio. "Jake Paul vs. Mike Tyson" mi porta con la memoria al famoso adagio di Wanna Marchi, una che era bravissima ad utilizzare la stupidità altrui come una risorsa. A vedere il denaro generato da questa furbata, la triste conclusione è che Wanna aveva assolutamente ragione.
Jake Paul vs. Mike Tyson ci ha fatto capire che come società abbiamo fallitohttps://www.today.it/film-serie-tv/schede/netflix/jake-paul-vs-mike-tyson-commento.html© Today