"It ain't over 'til it's over" (Rocky Balboa)
Ricordo una mattina di gennaio, credo fosse il 1987. Io e Sandro pedalavamo nella nebbia, dagli alberi cadeva brina ghiacciata ma noi avevamo un sogno, partecipare all'Ironman. A quei tempi non se ne sapeva granché, ad attrarci era forse proprio questo. L'impresa.
Poi finimmo gli studi, iniziò una vita diversa e il sogno finì in un cassetto. Ma, ogni tanto, magari quando ne udivamo un eco lontano, tornavamo ad aprire quel cassetto, magari solo per un momento di nostalgia di quando eravamo giovani e senza tanti pensieri.
Poi le nostre vite cambiarono di nuovo il loro corso, e finalmente potemmo esaudire quel desiderio mai sopito.
Ieri, Sandro, lo ha esaudito di nuovo.
Nonostante ci divida un oceano, posso dire di essere stato al suo fianco dal Giorno Zero della preparazione fino alla finish line. Sono stati mesi di tabelle di allenamento, due sedute di personal training online ogni settimana e tanto interscambio di informazioni ed emozioni.
Un conto è preparare per l'ironman un atleta di trent'anni, tutt'altra cosa quando l'età è quasi doppia. Non è più un lavoro solo "scientifico", diventa un'attività di fine tuning giornaliero, che deve tener conto di acciacchi vecchi e nuovi, problemi familiari e impegni di lavoro. Non si lavora solo sul corpo, ma anche - direi soprattutto - sull'aspetto mentale.
Ogni giorno di allenamento va guadagnato e ritagliato, spesso riformulato, sulle esigenze del momento.
Oltre alla competenza, occorre tanta esperienza, anche personale.
Questo dal punto di vista del coach.
Ma ciò che conta, alla fine è la volontà di chi la gara la deve portare a termine.
"Testa dura, Sandro, ma quella tu ce l'hai".
You did it, my friend
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