Mi ricordo ancora un'estate al cinema all'aperto di milano marittima, avrò avuto dodici anni, quando l'ho visto per la prima delle 3000 volte. Poi l'ho passato hai figli e anche a loro ha attaccato lo stesso desiderio. In quel film pero' non c'e' solo il surf, c'e' l'amicizia, c'e' la fine della gioventu'.
l'originale dell'articolo meraviglioso qui, con un parallelo con un altro film che ho visto 3000 volte "apocalypse now"
«Avrei dato tutto ciò che avevo per diventare un marine. Trascorsi molto tempo tra le onde con i ragazzi della base di Pendleton. Quando venni scartato alla leva per problemi d’asma mi sentii devastato. A partire da quel giorno sviluppai una vera e propria ossessione per la guerra». Ci fu un prima e un dopo il Vietnam per ogni americano e Milius non fece eccezione. Non c’è da rimanere sorpresi allora nello scoprire che il suo “Un mercoledì da leoni”, uscito un anno prima di “Apocalypse now”, sia anch’esso imprescindibilmente legato al conflitto nel sud-est asiatico.
Non poteva essere altrimenti dato che ad infoltire le fila dei milioni di combattenti mandati sul fronte vi furono moltissimi surfisti. La chiamata alle armi fu l’ariete di cui si servì il mondo reale per abbattere le porte del loro tempio. La spensierata giovinezza alla ricerca dell’onda perfetta svanì oltre l’orizzonte. Come il sogno di una notte di mezza estate cede il campo all’alba del risveglio di fine stagione.
«Si cavalcavano onde altissime. Si compivano imprese eroiche e di destrezza incredibile. Si cementavano caratteri. A diciotto anni avevamo degli imperi. Mai mi sarà conferita gloria più grande di quando, percorrendo la spiaggia con la mia Big Orange sottobraccio, sentii i ragazzini mormorare: Milius sta uscendo. Faccia a faccia con un’onda maestosa ci si sentiva onorati di essere uomini.
"Come avrebbe potuto gestirci la società? Violavamo tutte le leggi. Non avevamo alcun rispetto per la proprietà privata, e avremmo dato fuoco a una casa se si fosse trovata tra noi e le onde. In realtà non avevamo nulla contro la società che ci circondava, se non il fatto che era civilizzata e viveva nell’entroterra. Non eravamo ribelli per frustrazione, ma per arroganza. Eravamo dei re e, per la maggior parte dinoi, a venticinque anni era tutto finito".
È questa la terza via del surf. «Quella che rifiuta il sogno americano, che non vuole saperne di un lavoro fisso, della casetta con il giardino, del cane, dei figli, del football, del baseball, del basket. La gioventù del surf non è attratta neanche dall’autodistruzione, dalla ribellione senza una causa, molto in voga in quegli anni». (F. A. Fiorentino, T. Lavizzari, Surf. Un mercoledì da leoni 40 anni dopo, 2018).
L’opera di John Milius non è soltanto un elogio del dovere di servire la patria sotto le armi, se necessario anche a costo di fare prima la guerra con la propria coscienza («Right or wrong, my country»). È l’amicizia il leitmotiv assoluto che lega le vicende dei tre protagonisti. Amicizia intesa nel senso più nobile del termine ossia come un’affinità cavalleresca attraverso la quale, prendendo in prestito le parole di Vittorio Mathieu, l’uno coltiva l’altro, lo aiuta a conoscersi e conoscere il mondo; lo forma spiritualmente e lo rivela a sé stesso.
Il ciclo delle stagioni e delle mareggiate scandisce gli eventi della vita di Matt, Jack e Leroy mettendo in risalto come il passare del tempo non scalfisca la fratellanza d’acciaio che li unisce. L’eterno ritorno alla spiaggia simboleggia il loro centro di gravità permanente, per dirla alla Franco Battiato.
L’amore incondizionato per il surf, la tribù e l’impeto dell’oceano pacifico è più forte di qualsiasi cosa provi ad interferire con il cammino comune di cui sono artefici. Il desiderium di vivere momenti di gloria prevale infatti su ogni difficoltà. Lo sguardo dei ragazzi nel momento in cui si accingono a sfidare le onde è un’ode alla conquista. Milius, cullando il sogno dell’eternità, ha fatto della settima arte il deus ex machina per far emergere la sua poesia interiore: un trionfo di epica, etica ed estetica.
La mistica del nativo di Saint Louis, che affonda le proprie radici nella tradizione letteraria di Melville, Conrad e Kerouac, è intrisa di valori Zen, cameratismo ed entusiasmo virile per l’azione. È una Weltanschauung che concilia l’individualismo eroico (ed antieroico), tipico degli autori citati, con lo spiccato sentimento comunitario che ha caratterizzato la generazione alla quale Milius fieramente apparteneva.
Nel suo mondo inoltre trovano spazio alcuni precetti spirituali orientaleggianti legati al senso della disciplina. John infatti non fece mai mistero di essere stato folgorato dalla fascinazione per la cultura guerriera giapponese negli anni dell’adolescenza. Finì per diventare un samurai sui generis destreggiandosi tra cineprese, bikini e onde alte mille piedi.
E i suoi ragazzi? Decisioni cruciali si stagliano sulla loro rotta: c’è una giovinezza da risolvere. Il rifiuto di arrendersi al tempo viene travolto dalla realtà. Si fa largo l’accettazione serena del destino.
Il passaggio del testimone dalle mani degli interpreti della Golden Age anni ’60 a quelle degli idoli della successiva Silver Age è inevitabile. Ed è a questo punto che Milius esalta l’importanza di lasciare in eredità il migliore dei mondi possibili. «Nessuno surfa per sempre» mette in guardia Bear, sempre pronto a suggellare le imprese dei tre con una parola o un semplice sguardo.
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