lunedì 14 febbraio 2011

CARO MARCO TI SCRIVO. ancora una perla dal ciclista pericoloso.

Caro Marco, ti scrivo.

E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò.

Ci sono storie pià storie di altre.
la mia e la tua è una di queste.
Tu non mi conosci, non sai chi sono, non te ne potrebbe fregare di meno.
Eppure io avrei qualche cosa da dirti e magari, chissà, anche qualche consiglio da chiederti.
Sta a sentire.
Qualche anno fa, mia moglie mi ha messo in bicicletta, senza sapere a cosa andava incontro: sei magrolino e piccolino – disse -secondo me sarà una di quelle cose che ti vengon bene.
Dubbioso, per l’attrezzatura da comprare e le buffe scarpette da agganciare ai pedali, le ho dato retta.
E un giorno di settembre, era il mio compleanno, ho preso a pedalare. La bicicletta era gialla e, certo, non era bella come quella del nonno Sotero, e soprattutto io non ero più un bambino, ma ho capito subito, una volta montato in sella, che faceva poca differenza. E che bambino ci voleva poco a tornare.
Così mi sono messo in testa di fare le salite.
Io che ero piccolino e minuto, io che da ragazzino ero sempre il più scarso a calcio e una frana con le ragazze.
Le montagne, ho capito quel giorno, dovevano essere la mia rivincita personale.
Anche io avevo un nonno, sai, che andava forte in salita e tu pensa un po’: non ha fatto in tempo a conoscerti. Che sfortuna, eh?
Un giorno di gennaio, che io avevo solo undici anni, ha deciso che ne aveva viste abbastanza. E il suo cuore di scalatore puro si è fermato di colpo. Come nemmeno all’ultimo tornante dello Stelvio.
Beh, il mio nonno guardava sempre il Giro d’Italia, con la voce di De Zan in sottofondo mentre io, allora bambino, un po’ giocavo con le biglie un po’ guardavo quei buffi omini in braghe corte pedalare forte.
Del Tongo Colnago, la squadra di Beppe Saronni: il mio preferito.
Ho sentito tanti nomi in quegli anni, ho visto mio nonno appassionarsi a tanti aspiranti all’Olimpo di Coppi.
Ma mai vedevo davvero il lampo del Coppi ritrovato nei suoi occhi. Il mito dell’omino piccolo venuto dal futuro, e da un altro pianeta, doveva ancora aspettare.
Beh, quell’omino, più forte di cento montagne, ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona io. E tanto basta.
Era un giorno di fine luglio qualsiasi. Il caldo torrido, aggettivo che so esserti caro, e il cielo promettevano un’estate di bagni e ombrelloni. Eppure io ero chiuso in casa incollato davanti a te.
E ti ho visto andare. Andare come non mai più rivisto nessun altro. Andare come non avevo mai visto nessuno prima.
Ricordo che Cassani aveva appena finito di dire: ecco Pantani potrebbe partire qui…
Bum!, eri già andato. Prima di quanto si potesse immaginare. Come sempre, quando succedono le cose grosse.
Oh, se l’hai fatta grossa quel giorno, caro Marco. L’hai fatta grossa grossa.
Ammutolito, ti ho guardato e metaforicamente ero nelle tasche della tua maglia da corsa, con te, sotto l’acqua. Mi ci hai portato su anche a me su quella montagna rocciosa.
Il Galibier lo chiamano. Chissà mai che andrò a scalarlo anch’io,magari assieme a quell’altra tua amica, l’Alpe d’Huez.
Ti ho visto andare sotto l’acqua, caro Marco e son venuto via con te. Non c’ho pensato un attimo.
L’acqua, che veniva giù a catinelle dai costoni di roccia del gigante francese, ci ha lavato via i cattivi pensieri, ci ha ripulito, purificato della fatica. Più pioveva, più noi veleggiavamo. L’acqua ci ha messo davanti agli altri.
Il resto poi è venuto da sé.
Tu hai vinto. Io anche.
Metaforicamente, sportivamente, non importa.
Se i gradi di separazione esistono, sono sicuro che io e te, quel giorno, ci siamo incontrati.

GRAZIE CICLISTA PERICOLOSO!!!!



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